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l'altro punto di vista

Visto l'articolo pubblicato oggi sullo spazio sanlazzarese del Carlino copio e incollo quanto avevamo scritto in merito sul volantone di maggio:

L’argomento della diffusione dei cinghiali è tornato di attualità nel nostro Comune a seguito della scadenza nel 2014 del relativo piano di contenimento con  ripercussioni negative sulle attività agricole locali.

Vorremmo provare a fare chiarezza e fornire qualche utile informazione.È vero che il cinghiale non è una specie del nostro territorio? Gli anziani dicono “una volta non c’era”.L’area di distribuzione originaria del cinghiale comprende gran parte del continente eurasiatico e la porzione settentrionale dell’Africa: il cinghiale è una specie autoctona naturalmente appartenente alla nostra fauna. L’uomo ha interagito con questa specie da sempre, portandola all’estinzione in gran parte dell’area sopra citata anche in tempi storici. Negli ultimi decenni la specie ha rioccupato gran parte dell’area ritornando dove mancava da decenni o da secoli, ed è per questo che i nostri anziani non la ricordano.È vero che i cacciatori hanno immesso esemplari provenienti dall’estero che si riproducono più velocemente? Sì, nel recente passato questo è successo ma la specie è una ed è caratterizzata da una biologia riproduttiva che è sempre la stessa. Il successo riproduttivo dipende sia dalle caratteristiche genetiche della specie sia dall’abbondanza di risorse alimentari che variano da un anno all’altro e da un territorio a un altro.Che danni reca alle colture?Il cinghiale danneggia le colture di cui si alimenta, come cereali o patate, ma anche il cotico erboso (ad esempio le colture foraggere come l’Erba medica). Le associazioni agricole dicono che in base agli strumenti di gestione faunistico-venatori vigenti il nostro territorio ricade in un’area dove il cinghiale non deve esserci, è così?Siamo a nord della cosiddetta linea rossa, limite geografico a nord del quale la presenza della specie non è prevista dagli strumenti di gestione faunistico-venatori vigenti.

Il territorio ricadente nei confini del Parco dei Gessi merita un ragionamento a parte: i Parchi (ai sensi della legge quadro sulle Aree Protette L.394/1991) sono porzioni di territorio istituzionalmente deputati alla conservazione della natura. Perseguire l’eradicazione di una specie autoctona come il cinghiale è quindi una contraddizione. Un’azienda agricola all’interno del Parco è quindi svantaggiata?Il Parco deve essere un’opportunità di sviluppo e un laboratorio a cielo aperto dove sperimentare una convivenza tra l’uomo e la natura e nella fattispecie tra l’agricoltura e il cinghiale. Se è vero che la fauna all’interno di un parco deve essere conservata è altrettanto vero che in un’area densamente antropizzata e caratterizzata dalla presenza di aziende agricole queste devono essere messe nelle condizioni di lavorare. Quindi? Bisogna limitare il popolamento del cinghiale, come già negli anni passati. Nel 2008-2012 nel Parco sono stati abbattuti 1876 cinghiali con una media di 375/anno (fonte: Piano Faunistico Venatorio Provinciale - Carte di vocazione faunistica densità obiettivo e gestione degli ungulati 2014-18, tab. 31, pag. 66).Ci sono stati problemi operativi che vanno affrontati e risolti ma non devono essere cambiati gli obiettivi di densità “tollerabile” già previsti dal precedente Piano di controllo del Cinghiale nel Parco dei Gessi.Particolare attenzione dovrà essere posta alle zone particolarmente soggette a danni intensificando le operazioni in quelle aree.Il cinghiale potrebbe essere una risorsa per le aziende agricole?Certamente. In epoca di promozione dei consumi di cibi sani, prodotti biologici e a km0, questa specie può essere una fonte per l’integrazione del reddito degli agricoltori che vivono il territorio e sono chiamati a farsi carico di compiti precisi nella gestione attiva di questa specie. A maggior ragione all’interno di quel laboratorio di gestione delle risorse naturali e convivenza con le attività umane che è un Parco. Nell’Appennino bolognese si sta cominciando a lavorare su questa  filiera che era già obiettivo del Piano faunistico venatorio provinciale 2007-2012 rimarcato nell’aggiornamento 2014-18; un esempio è rappresentato dall’iniziativa imprenditoriale che ha dato vita a Monzuno ad un laboratorio didattico di lavorazione delle carni di ungulati, nato anche grazie ad un cofinanziamento comunitario.

 

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