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HERA: dalla fusione alla privatizzazione, con buona pace della volontà popolare

 Martedì 18 settembre, durante la seduta della 1a Commissione Consigliare è stata presentata la delibera di approvazione della fusione di HERA con la multiutility veneto-friulana Acegas-Aps. Lasciando a parte le considerazioni generali, che lascio al documento del comitato per l'acqua pubblica e che comunque sottoscrivo pienamente, in quell'occasione ho rivolto due domande al rappresentante del Consiglio di Amministrazione di HERA che presentava l'operazione.

La prima domanda era: "Visto che i Comuni sono titolari di azioni della società ottenute in cambio del trasferimento delle reti alla società stessa, che succede se un Comune vuole uscire dalla società? Verrà ripagato con il valore economico delle azioni detenute oppure rientrerà in possesso delle reti?"
Seconda domanda: "Nella proposta di delibera sono ricomprese delle modifiche statutarie funzionali al nuovo assetto post fusione. Sono però presenti due modifiche (agli Articoli 7 e 26) che con la fusione non c'entrano nulla. Fermo restando il principio secondo il quale il 51% del capitale sociale di HERA dovrà essere detenuto da enti pubblici, la modifica proposta si presenta in chiave chiarificatoria ed interpretativa, prevedendo che la partecipazione maggioritaria pubblica possa realizzarsi anche mediante la partecipazione al capitale sociale di HERA, da parte di altri Enti o Autorità Pubbliche (diversi dai Comuni, Provincie e Consorzi costituiti ex articolo 31 D.Lgs n. 267/2000) ovvero da parte di società il cui capitale sociale sia detenuto, anche indirettamente, in maggioranza, da Enti Pubblici o Autorità Pubbliche (oltre che dai Comuni, Province, e Consorzi costituiti ex articolo 31 D.Lgs n. 267/2000). Che motivi quindi ci sono a supporto di queste modifiche?".

Le risposte che mi sono state fornite sono le seguenti.
Risposta alla prima domanda: "Non lo so, c'è un vuoto normativo". ??? Cioè un membro del CdA (con uno stipendio di 50.495,00 euro) non sa dare una risposta a questa domanda? C'è un vuoto normativo? Come dire che si vorrebbe una legge statale che normi i contratti parasociali? Ci prendono per stupidi o che?
Seconda risposta: "La modifica è finalizzata affinché possa entrare all'interno del "patto di sindacato" la società Fondo Strategico Italiano controllata da Cassa depositi e prestiti e Fintecna". Ricordo che la Cassa depositi e prestiti è a sua volta controllata dal Tesoro, quindi fin qui nulla di male perché si tratta comunque di una società a controllo pubblico. A questo punto nascono però alcuni dubbi: FSI entra nel "patto di sindacato" ovvero all'interno di quel meccanismo che assicura che il controllo pubblico rimanga al di sopra del 51%, visto che gli enti non possono vendere azioni se non ad altri enti all'interno del "patto". Attualmente quindi nessun ente compra perché nessun ente è interessato e soprattutto non ha liquidi per acquistrare. FSI invece è interessata e soprattutto ha liquidi e i Comuni sono alla continua ricerca di denaro. Quindi, con l'ingresso di FSI, i Comuni troverebbero un acquirente che è nelle condizioni di poter acquistare. Che succederebbe quindi se FSI diventasse il maggior azionista del "patto di sindacato" e - visto che il patto è anche "patto di voto" - chi potrà impedire ad FSI di modificare la norma statutaria che fissa il tetto minimo del 51% pubblico?

Mi pare proprio che qualcuno abbia fiutato l'affare...

M. Bertuzzi

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